domenica 28 giugno 2009

la piuma dell'angelo

Una volta un angelo perse una piuma. Succede molto di rado, ogni due o trecento anni, ma succede. Quell'angelo stava volando sopra un lago solitario, dalle acque più azzurre del cielo, e intorno solo boschi e prati fioriti. L'angelo s'incantò a vedere tanta bellezza e s'abbassò fino a sfiorare l'acqua. Fu così che perse la piuma. L'acqua tremò tutta al suo passaggio e quando l'angelo s'alzò verso il cielo, la piuma era lì che galleggiava. Nessuno aveva visto l'angelo, nessuno vide la piuma. Solo una macchia di luce che brillava come argento puro e che l'acqua portò lentamente a riva.
Passò del tempo e lì, dov' era la piuma dell'angelo, cominciarono a spuntare dei fiori. Nascevano dall' acqua, con uno stelo lungo e sottile che sembrava di cristallo e i petali trasparenti e scintillanti. Fiori così non s'erano mai visti, ma lì, in quel lago solitario, crescevano indisturbati. Nessuno vi era arrivato, all'infuori dell' angelo che aveva perso la piuma. Poi capitò un uomo in compagnia di una donna: la donna era bella e giovane, e l'uomo l'amava molto, si vedeva da come la guardava. Dovevano avere camminato tanto, perché erano sfiniti. Si fermarono sulle rive del lago e videro i fiori; lui fece per raccoglierli, per farne dono a lei, erano molto poveri e quello era il suo primo dono, ma lei disse di no. Quei fiori non si potevano cogliere, lei disse, erano troppo belli.
Bastava guardarli. - Allora fermiamoci qui e costruiamo la nostra casa, così potrai vederli sempre, - disse l'uomo alla donna. E lei annui. Si fermarono e lui fece per lei una casa con le pietre del lago e il legno dei boschi, decorò le finestre con rami verdi e bacche, le costruì un forno per cuocere il pane e un telaio per tessere la tela, e per sé fece un aratro. - Ora non ci manca niente, - disse l'uomo e la donna annuì ancora. Ma la terra dei boschi era avara, produceva bacche e frutti selvatici ma un grano misero e stento, e la tela tessuta era sempre poca, perché il gelo bruciava gli steli del lino. Nacque il primo figlio e l'uomo avrebbe voluto donare alla donna una pietra preziosa, tanto l'amava, ma aveva in tasca solo poche monete. Uscì sconsolato sulla sponda del lago per cogliere almeno un fiore per lei, ma il vento, che aveva soffiato tutta la notte, aveva strappato i petali alle corolle e li aveva dispersi nell' acqua. - Pazienza, - disse l'uomo, -li coglierò e ne farò una collana. Tornò a casa, prese una rete a maglie sottili e cominciò a raccogliere i petali. Ne aveva ammucchiati un certo numero, quando vide qualcosa guizzare e brillare sul fondo della rete. Guardò e vide un piccolo pesce. Non era come quelli che tante volte aveva pescato, era di metallo prezioso, di puro argento, e le sue scaglie brillavano come oro. Sbalordito e felice, l'uomo lo portò alla donna. - Andrò in città a venderlo e comprerò una pietra del colore dei tuoi occhi. Ma la donna disse di no. Un pesce così non si poteva vendere, disse, era troppo bello. Bastava guardarlo. Però questa volta l'uomo non le diede ascolto e andò in città, a vendere il pesce e a comprare la pietra preziosa. Poi, soddisfatto, tornò dalla donna.
- Questo è il mio dono, - le disse porgendoglielo. Ma lei non sorrise. Intanto in città s'era sparsa la notizia del pesce d'argento e tanti si misero in cammino per raggiungere il lago. Buttarono reti di ogni tipo e forma e pescarono pesci di ogni forma e tipo, ma nessuno che avesse una pinna o una sola scaglia d'argento. Tuttavia non si arresero e continuarono a pescare, finché il lago si vuotò di pesci, l'acqua diventò torbida e gli steli dei fiori, spezzati, furono portati via dalla corrente e di loro non rimase traccia. La donna pensò che non sarebbero mai più fioriti e si sentì immensamente triste: prese la pietra, che aveva procurato tanto danno, e la gettò nel lago. La vide l'uomo e non le disse niente, ma da quel momento non furono più felici come prima. Passò l'estate e arrivò l'inverno, e fu un inverno di gelo e di bufere.
Una notte il bambino si svegliò piangendo e la madre per consolarlo cominciò a cantare. Il suo canto uscì dalla finestra chiusa e se ne andò sul vento. Di lì passava un angelo: era buio pesto, soffiava la tormenta e l'angelo s'era smarrito. Sentì quella voce, dolce e pura, e pensò d'essere arrivato a casa. Seguì il vento, volò basso sul lago e solo quando fu davanti alla finestra capì d'essersi ingannato. Ma quel canto era così bello che l'angelo si fermò ad ascoltare. La donna cantò a lungo, finché il bambino non si fu riaddormentato, e l' angelo rimase alla finestra ad ascoltare. Poi batté le ali in silenzio e volò via. Forse fu allora che il vento gli staccò la piuma.
Al mattino giaceva sul lago ghiacciato e scintillava come argento puro. Nessuno se ne accorse, pensarono a una lamina di sole; ma in primavera, quando il ghiaccio si sciolse, spuntarono dall' acqua gli steli di cristallo e rifiorirono. L'uomo e la donna non seppero mai dell' angelo, ma tornarono a essere felici.

sabato 27 giugno 2009

sogno di una notte di mezza estate..

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La notte di mezz’estate è una notte magica e il titolo ne svela immediatamente l’atmosfera onirica, irreale anche se, come viene precisato, la notte in cui si svolge gran parte dell’azione è quella del calendimaggio, la celebrazione del risveglio della natura in primavera e non in estate.
E’ comunque l’augurio di un risveglio gioioso. Ma è davvero così? Tre mondi si contrappongono: il mondo dellarealtà (quello di Teseo, Ippolita e della corte), il mondo della realtà teatrale (gli artigiani che si preparano alla rappresentazione) e il mondo della fantasia (quello degli spiriti, delle ombre).
Ma i sogni alle volte possono trasformarsi in incubi: il dissidio fra Oberon e Titania che rivela a un certo punto un terribile sconvolgimento nel corso stesso delle stagioni, il rapporto tra Teseo e Ippolita, il conquistatore e la sua preda, la brutalità di certi insulti che gli amanti si scambiano sotto l’influsso delle magie di Puck.
“Sogno di una notte di mezza estate”, scritta in occasione di un matrimonio, è come una serie di
scatole cinesi. All’esterno dell’opera ci sono la sposa, lo sposo e il pubblico, all’interno le coppie,
Teseo e Ippolita, Titania e Oberon e i quattro innamorati e nell’opera dentro l’opera, i teatranti, la vicenda di Piramo e Tisbe.
In questo mondo stregato domina il capriccio, il dispotismo di Oberon che attraverso Puck gioca con i mortali e con Titania, per imporre il suo dominio.
Si compie quindi su Titania quella violenza che Teseo compie su Ippolita e che Egeo vorrebbe compiere sulla figlia costringendola a un matrimonio che respinge.
Si noti la sequenza degli scambi fra gli amanti.
Si inizia con Ermia che ama Lisandro e con Elena che ama Demetrio, ma quest’ultimo con l’appoggio di Egeo, padre di lei, vuole invece conquistare Ermia. Si passa, attraverso l’intervento “magico” di Puck, al folle girotondo in cui Ermia insegue Lisandro, Lisandro Elena, Elena Demetrio e Demetrio Ermia.
E non è finita. Perché Ermia, alla quale dapprincipio aspiravano entrambi i giovani, sarà
abbandonata da tutti e due, innamorati ora di Elena, e solo nel quarto atto dopo un nuovo
intervento di Puck, si avrà la conclusione in cui gli amanti formeranno davvero due coppie.
La grandezza di Shakespeare sta nell’aver saputo coinvolgere tre mondi diversi, ciascuno con un
suo distinto linguaggio: quello delle fate che alterna al verso sciolto, canzoni e filastrocche, quello
degli amanti dominato dalle liriche d’amore e quello degli artigiani, nel quale la prosa di ogni
giorno è interrotta dalla goffa parodia del verso aulico.
Il mondo è folle e folle è l’amore. In questa grande follia della natura, l’attimo di felicità è breve.
Un richiamo alla malinconia che accompagna tutta la vicenda.

angeli..

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venerdì 26 giugno 2009

pensieri liberi


essere una farfalla per sorvolare i problemi per volare via libera..per posarmi su una tua spalla e farti compagnia nei momenti in cui non posso esserci e tu mi vorresti al tuo fianco.
Una farfalla dai mille colori..come mille sono le sfacettature del mio carattere...una farfalla che lascia il bozzolo che prima bruco...e poi....rinasce piu bella e più forte che mai....una farfalla dalle ali fragili...come fragile è la mia anima ...il mio amore...non chiedermi di non volare...sarebbe come farmi morire...fidati..non te ne pentirai.

farfalle


C’era una volta un bruco che tutti i giorni si guardava e si vedeva brutto, viscido… Continuava a rimpiangere la sua sorte: di essere nato bruco… Alzava il capo in alto, vedeva le farfalle e pensava: “se solo potessi essere come loro; loro sono leggere, colorate, sono così belle…Loro volano in alto, io invece striscio per terra!!!”. Il tempo passava e il bruco continuava ad ammirare le farfalle e a maledire la sua sorte crudele che non lo aveva fatto nascere come loro fino a quando, un giorno, sentii un dolore atroce su tutto il corpo e pensò: “ecco, è arrivata la mia ora, finalmente morirò ponendo fine a questa mia vita ignobile”. Passò del tempo che al bruco sembrò un secondo, egli si risvegliò e liberatosi, con molta fatica, di quella cosa che lo teneva stretto, prigioniero…di quella cosa che noi chiamiamo crisalide…aprì i suoi piccoli occhi al mondo. Vedendo le farfalle volare istintivamente cerco di seguirle: stava anche lui volando dietro a loro!!! Ma il bruco non ci credette, pensava di essere in un sogno o chissà cosa…. Come poteva volare?!? A un certo punto venne intrappolato in una rete e sentii uno spillo che gli trapassava la schiena; prima di morire percepì la voce di un bambino dire alla madre: “mamma, guarda! Un nuovo pezzo per la mia collezione!”… “Che schifo, una collezione di bruchi!!!” fu l’ultimo pensiero del piccolo essere che ancora non si era accorto di essere diventato una farfalla! La sindrome del bruco consiste esattamente in questo: nel non riconoscere il processo di ‘metamorfosi’ che ognuno di noi sta facendo ma sentirsi sempre gli stessi: brutti, inadatti, viscidi o goffi come l’albatro di Baudelaire, senza rendersi conto che in realtà è proprio l’albatros il migliore a volare…

giovedì 25 giugno 2009

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avalon


Ogni mattina il cielo si risveglia
sbadigliando pigramente all’ultimo saluto della notte
e migliaia di occhi alzano ad esso uno sguardo
carico di nuove speranze.

Le strade si riempiono di passi concitati,
le mani stringono pesanti borse della spesa,
valigette piene di carte e documenti,
sigarette fumate di fretta correndo all’arrivo di un autobus,
un telefonino che attende lo squillo del buongiorno…

Il lungo percorso delle ore è iniziato
ed io sono qui dove le tue parole hanno lasciato il solco.


..a guardia della luce blu fuori dalla porta.

Tutto è rimasto in sospeso come su di una nuvola,
ostinatamente immobile in cima al Mondo.

La tua conoscenza è rimasta tra le pagine tristi dei miei libri,
insieme al segreto di Hiram e la croce di Loreena,
e le nebbie dell’inverno hanno cancellato la rotta per Avalon…

Il Cavaliere si è allontanato sul suo destriero d’acciaio
e non ha più fatto ritorno dal buio delle gallerie
e dall’ultimo saluto cancellato dal rumore delle rotaie….

Sotto la copertina dei tuoi libri
un inchiostro scuro porterà per sempre la tua grafia
perché qualcuno potrà.. un giorno,
sapere dove hanno viaggiato i tuoi occhi.

Quella Stella che ancora si staglia nel cielo notturno
a ricordo dell’ultimo nostro richiamo prima della notte,
tace da molto tempo,
e lascia sia la Luna a chiederti quanto è rimasto
di quelle coraggiose parole di cui era depositaria.

Quando ancora ti interrogherà su di me,
riferiscile che sono rimasta seduta
sul greto di un inarrestabile fiume d’inchiostro,
al limite di una precipitosa cascata…
aggrappata alle radici di parole rimaste incise per sempre,
sospesa ai sorrisi e alle risate di una calda notte d’estate,
respirando le spire di fumo di quell’ultimo mozzicone di candela mai spento.

La Regina, nel silenzio, è rimasta in attesa che il Cavaliere,
dopo le sue molteplici battaglie,
ritrovasse le orme del ritorno verso le sue mani…


Perché la strada non conduca più verso il nulla
ed il cammino non sia più invano…

Tutti hanno un paio di ali ma solo chi sogna impara a volare


Danza selvaggia,
nella notte avviene,
dono alla luna,
musica soave,
violino che infrange il silenzio.
Suonatore pazzo,
che insegue,
una figlia della notte,
meraviglia del creato,
del visibile e dell'invisibile.
Tu che ispiri
tutto ciò che creo,
tu che sei tutto ciò che sogno.
Tu che ogni notte torni da me,
torni a danzare sotto la luna,
a quella dea,
che entrambi onoriamo,
con ciò che sappiam fare,
le poesie e la danza,
tu che la notte,
incanti la natura,
con la tua dolce figura,
la tua serena voce,
meraviglia del creato.

giovedì 11 giugno 2009

cambiare!!!



CAMBIARE vuol dire lasciare da parte ciò che crediamo di essere o ciò che gli altri vogliono che noi siamo per diventare effettivamente noi stessi

CAMBIARE vuol dire allargare gli orizzonti percettivi di ciò che siamo, e di ciò che vogliamo diventare …

CAMBIARE vuol dire entrare in stretto contatto con ciò che siamo, ciò che vogliamo, che sentiamo, che crediamo e con ciò che possiamo effettivamente diventare se ascoltiamo le nostre potenzialità sopite …

CAMBIARE vuol dire imparare a diventare consapevoli di noi stessi, creandoci spazi e tempi di silenzio interiore da cui lasciar emergere nuovi colpi d'occhio sulla realtà, nuove risposte e, soprattutto, nuove domande…

.

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CAMBIARE vuol dire incominciare a indirizzare la nostra vita verso nuovi obiettivi, rimettendo in gioco equilibri che altrimenti la nostra vita ci costringerà a rendere irrimediabilmente definitivi…

CAMBIARE vuol dire aprirsi all'innovazione, al rinnovamento, al cambiamento, all'apprendimento e alla crescita interiore …


CAMBIARE vuol dire conoscere le nostre più profonde esigenze e saper scegliere ciò che è meglio per noi senza farci condizionare dall'abitudine o dalle convenzioni…

CAMBIARE vuol dire imparare a oltrepassare i propri limiti, a mettere in pratica la nostra capacità di modificare la realtà con il nostro contributo, a non farci limitare da idee preconcette di noi stessi, a non rassegnarci…

CAMBIARE vuol dire saper cogliere ogni occasione per imparare qualcosa di nuovo, per scambiare esperienze e informazioni con chi ci sta vicino e chi ci sta lontano, scoprendo così cose che, da soli, non avremmo mai conosciuto…

CAMBIARE vuol dire scoprire che la capacità di provare forti emozioni nasce dall'interno, non dipende da un oggetto piuttosto che da un altro, nasce dalla disponibilità a lasciarsi trascinare dal vento della vita, senza perdersi…

CAMBIARE vuol dire coltivare la meraviglia, la capacità di divertirsi e di vivere appieno il presente ...

CAMBIARE vuol dire aprire la mente educandola a cogliere l'unicità di ogni istante, per trasformare la nostra vita in un'avventura senza fine…

la magica notte di san giovanni





s'intrecciano in un atmosfera magica:

è la notte del circolo delle streghe,

l'alba delle feste di fecondità e della semina,

La festa del sole e la ricorrenza del martirio del Battista..

Secondo le antiche tradizioni,la notte tra il 23 e il 24 giugno

il mondo naturale e soprannaturale si compenetrano e accadono

"cose strane" come viene ricordato anche da Shakespeare nel

"SOGNO DI UNA NOTTE DI MEZZA ESTATE",

che viene infatti chiamata anche La notte delle streghe,

si credeva che in questa data le streghe si riunissero,

approfittando della congiunzione particolare degli astri,

nei boschi e lungo i sentieri bui, fino all'alba, ed è per questo motivo

che le erbe raccolte in questa notte,prima del levar del sole, bagnate dalla rugiada, acquistano un significato magico….

Nelle diverse culture, il solstizio d'estate viene festeggiato in modi diversi…

Nelle campagne del Nord Europal'attesa del sorgere del sole era propiziata dai falò accesi

sulle colline e sui monti, per mettere in fuga le tenebree con esse gli spiriti maligni, le streghe e i demoni vaganti nel cielo.

Attorno ai fuochi si danzava e si cantava e la notte era pervasa di magia: le acque sussurravano parole cristalline,le fiamme creavano giochi di luce nell’aria scura, il Male si dissolveva sconfitto…

Nella religione dell'antica Grecia,il solstizio d'estate era considerato

la "porta degli uomini",mentre il solstizio d'inverno era la "porta degli dei".

I solstizi, dunque, nell'antica Grecia erano un confine tra il mondo degli umani e l’immortalità degli dei ….

A Roma, in età medievale, c'era l'usanza di mangiare, danzare, giocare

e cantare all'aperto e nelle osterie in attesa del sorgere del sole.

Accanto al fuoco, che aveva una funzione liberatoria, vi era la rugiada dalle virtù fecondatrici:

le giovani spose, che volevano ottenere figli, si recavano sul monte Testaccio e si sedevano sollevavano le vesti sopra l'erba umida per un intimo lavacro propiziatorio.

I solstizi erano anche festeggiati dalle grandi civiltà dell'America precolombiana,in Perù per esempio, il dio sole, Inti, che era anche l'Imperatore, riceveva grandi sacrifici di animali ed offerte naturali, in modo propiziatorio perché i raccolti estivi fossero abbondanti.

In Bretagna, c'era la stravagante usanza di far dondolare i bambini per nove volte davanti al fuoco, cosicché crescessero robusti.

Davanti alle fiamme, inoltre, si disponevano delle pietre per fare in modoche gli avi defunti si riscaldassero.

In Inghilterra era proibito, il 24 giugno,portare fuoco all' esterno delle case, per paura che la buona sorte se ne andasse.

Tra le altre usanze, far passare gli animali attraverso il fuoco per preservarli dalle malattie e dai sortilegi negativi.

Ben diversa l'usanza portoghese di andare nei boschi e,insieme, cominciare a prendere a male parole le volpi là nascoste, perchee non tornassero più a rubare le galline.

Tra le pietre di Stonehenge, luogo "magico" per eccellenza,c'è un monolito chiamato "heel-stone" :fu posto in modo tale che si potesse scorgere il sole all'orizzonte nel giorno del solstizio d'estate.


La religione cattolica divenne ben presto conscia dell'importanza di questo periodo e dei festeggiamenti a esso associati,e ai riti pagani sovrappose le proprie celebrazioni. Da qui il solstizio d'estate è diventato la festa di SAN GIOVANNI IL BATTISTA, che sarebbe nato sei mesi prima di Cristo ...

Aradia Il vangelo delle streghe



In queste pagine sono presentati alcuni racconti e canti tratti dal testo di Charles G. Leland, "Aradia or the Gospel of the Witches", in italia edito come "Il vangelo delle Streghe".

Il Libro, pubblicato per la prima volta nel 1899, e' una raccolta di leggende, rituali, invocazioni (a cui e' attribuita un'origine tosco-romagnola), che gravitano intorno alla figura di Diana, nella veste di regina delle streghe.

Bisogna pero' far presente che alcuni ritengono si tratti di una raccolta "costruita" senza effettive basi reali.
Visto comunque la risonanza che ha ormai questo testo, e per una migliore comprensione/visione dell'argomento, consiglio in ogni caso la lettura del libro.